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Seminare dubbi con il teatro d'emergenza - intervista a Paolo Rossi

Paolo Rossi ci racconterà una storia martedì 10 agosto alle 21:15 con Alessio Lega al Giardino delle Pietre Recuperate di Torriana. Lo abbiamo intervistato per ascoltare la sua opinione su come sia cambiato il mondo (specie del teatro) nell’ultimo anno e mezzo tra pandemia e dibattiti sempre più accesi sul politically correct: tra Moliére, covid, élite e teatro popolare, l’artista friulano ci offre uno spaccato di società culturale a tratti grottesca e sgangherata. Per partecipare alla Notte di San Lorenzo, che inizierà alle 17:00 e che è stata patrocinata dal Comune di Poggio Torriana con un contributo della Regione Emilia-Romagna, occorre iscriversi gratuitamente cliccando qui, mentre qui è possibile visualizzare l’evento Facebook. I posti a sedere per l’evento non sono assegnati.



Cosa ci dobbiamo aspettare dallo spettacolo di martedì 10 agosto?

Bella domanda! Decido tutti gli spettacoli osservando il luogo, l'umore delle persone, i fatti di attualità... Chiaramente riesco a fare tutto ciò grazie alla mia lunga esperienza nel teatro d'emergenza che continuo tutt'ora a praticare e grazie anche al periodo storico in cui stiamo vivendo. L'esperienza e il momento fanno sì che l'emergenza sia la mia partita, di conseguenza capisco cosa fare durante lo spettacolo pochi minuti prima. Ciò è possibile anche a causa di un grande repertorio, il quale può essere reinventato ogni sera grazie all'improvvisazione che pratichiamo da tanti anni, in modo tale da non avere mai un pezzo uguale all'altro. Quindi vedremo martedì che cosa succederà durante lo spettacolo!


Per scoprirlo si può solo venire il 10 agosto! Com'è stato il teatro di emergenza in un periodo di emergenza come quello pandemico per te e per il tuo staff, quindi i tecnici e i musicisti?

Ho reagito in modo diverso rispetto a tanti miei colleghi attori: non mi sono mai fermato, quindi nemmeno i tecnici. Nel periodo del primo lockdown ho fatto ottantacinque repliche, chiaramente abbiamo guadagnato comunque molto meno ma abbiamo fatto fronte alla pandemia seguendo la filosofia dei nostri antenati commedianti, ovvero ricavare uno stimolo da ogni ostacolo. Quando Franceschini fece riaprire per primi i musei, chiamai gli spettacoli Visite guidate alle prove degli spettacoli, rispettando di conseguenza tutte le norme, oppure a marzo e aprile dello scorso anno abbiamo fatto gli spettacoli nei cortili delle case di ringhiera di Milano e del Nord Est: le persone stavano ai balconi e alle finestre e noi abbiamo continuato a lavorare. Non pensavo che aspettare il Ministero potesse essere utile, quindi ci siamo adoperati per capire come usare le regole, questo anche perché pratico il teatro d'emergenza da ben prima che questa ci fosse: ero allenatissimo!


Per te il teatro deve essere popolare: cosa significa?

Si deve recitare con il pubblico e non al pubblico e occorre capire di che cosa ha bisogno la gente, non quello che vuole sentire o che seguire una qualche visione del regista. Sono convinto che ora le persone necessitino di un conforto laico e di sentire storie che lascino delle domande, che ciascuno si può portare a casa e sentire con il proprio vissuto: le risposte spettano proprio alle persone, che spesso portano verso la stessa direzione.


A proposito di porsi domande: ultimamente il pubblico, soprattutto quello più giovane, si sta chiedendo cosa vuol dire fare satira oggi e se esiste un'ingerenza del cosiddetto politicamente corretto, ammettendo che esista, voluta dalla sinistra (come nel caso di Pio e Amedeo). Secondo te in quale situazione ci troviamo rispetto a tutto ciò?

Sono tutti falsi problemi, tutta moda che nasconde ciò che sta sotto, che è profondo. Chi fa satira (e la facevano anche Shakespare e Moliére!) deve prendersi la briga di essere fuori dal coro, con la cosiddetta sinistra, che a livello partitico non esiste più e che vince in centro ma non nelle periferie. La politica, nel senso più nobile del termine, è quella passione palpitante che ti avvicina ai problemi della comunità, delle minoranze e dei più deboli: chi ha questa passione può, come un alcolista in una comunità di recupero, perderla iscrivendosi ad un partito.




Il teatro quindi è connesso con la politica?

Se per noi la politica è la passione per i problemi della comunità, il teatro può essere allora assai pericoloso ed essere la madre di tutte le battaglie. Oggi il termine politica è stato stuprato: chi è nei luoghi di potere non fa politica, è solo un gioco per l'élite.


Esiste anche il teatro d'élite?

In Italia è d'élite: basta guardare i luoghi in cui si fa, che sono ormai una sorta di chiese, in cui chi ci lavora collabora nella propria rete chiusa, in cui ci si premia a vicenda. Il teatro in Italia è fatto da gente che dice di amare il teatro ma odia il pubblico: fa parte del nostro sistema. Io sono un commediante, un contastorie: come la regina Elisabetta supportava economicamente Shakespare, se vengo finanziato mi prendo i soldi, altrimenti si fa anche il altro modo. Non faccio il controculturista, faccio controcultura.


Ovvero?

Il controculturista crea un ghetto di persone con cui ha la stessa opinione, mentre la controcultura è un mezzo per combattere il sistema e allargarsi, cercando il confronto anche con chi non la pensa come te, perché anche queste persone si pongono delle domande. Il controculturista si conforta ma fa perdere la pericolosità alla cultura, ovvero quella capacità di seminare dei dubbi rispetto all'omologazione del pensiero a cui assistiamo oggi.


Che futuro ha il teatro in Italia secondo te?

In quanto teatranti abbiamo la delega delle profezie: ma per rispondere alla tua domanda c'è bisogno di una storia, non di una risposta. Spero di raccontarne una martedì sera e di ascoltare voi.


E nei classici c'è invece attualità?

Ellamadonna! C'è più attualità lì che in un editoriale di Repubblica!





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